I numeri del turismo digitale a Milano – sottolinea una recente ricerca di Sonders&Beach per Eurisko – sono particolarmente confortanti, e sono attualmente in grado di ribadire in che modo il capoluogo lombardo può esercitare un ruolo di leader, incrementando il proprio vantaggio nei confronti delle altre principali città italiane e, soprattutto, di Roma.
Nella Capitale, infatti, il panorama del turismo digitale non è certamente confortante. Stando alla ricerca, infatti, solamente il 32% delle strutture viene considerato responsive dal punto di vista digitale, e nella metà dei casi si tratta di catene di alberghi. Numeri non certo positivi, che probabilmente vengono “celati” dal principale biglietto da visita che l’urbe può vantare, quei 3 milioni di visitatori del primo semestre 2017 (+13,1 per cento sullo stesso periodo del 2016) che hanno fatto per il momento dimenticare le criticità del comparto, che impediscono a Roma di paragonarsi con metropoli come Parigi, Berlino e Londra sul fronte della promozione e della gestione digitale dei viaggiatori in arrivo.
L’elenco dei punti di criticità è peraltro abbastanza lungo e diffuso. Tra le principali segnalazioni, vi è quella sulla sussistenza di strutture troppo parcellizzate e raramente in rete, con l’assenza di un portale unico in grado di proporsi sia come vetrina che come hub per le prenotazioni. Un simile scenario, peraltro, rende l’offerta romana eccessivamente dipendente da big come Expedia, Booking e TripAdvisor, che comprimono ulteriormente i margini degli operatori locali.
Certo, anche a Milano non tutto è oro quel che luccica, ma nel capoluogo lombardo – sotto tale profilo statistico – si sembra soffrire di meno. Per quanto concerne poi AirBnb, l’indagine Ospitalità alternativa a Milano dell’Università Bocconi a cura di Magda Antonioli Corigliano sostiene che sul sito di house sharing, che “assorbe” quasi l’8% delle notti trascorse in città, gli alloggi proposti si configurano solo per una piccola quota (16%) come locazione di uno spazio all’interno, mentre nel rimanente 84%, “tale attività appare come un vero e proprio progetto di investimento immobiliare a tariffe concorrenziali, facendo somigliare pericolosamente il fenomeno a una forma di concorrenza sleale nei confronti dell’offerta ricettiva regolare, alberghiera e non”.
Insomma, un mercato del turismo che cambia – e lo fa in maniera repentina. E sta alle città tricolori cercare di non farsi sopraffare dai colossi internazionale, agendo in maniera propositiva su una migliore organizzazione locale, che possa valorizzare le importanti strutture del territorio.